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Il ricordo Alberto Gai, nel 30mo anniversario della scomparsa

Domenica 25 giugno, nel giorno che sarebbe stato del suo cinquantesimo compleanno, presentato a Crea il libro "Alberto. A vent’anni una pienezza di vita"

SERRALUNGA DI CREA

Trent’anni fa, il 19 giugno 1993, Alberto Gai, vent’anni non ancora compiuti, moriva investito da un’auto a San Giorgio Monferrato mentre si recava in pellegrinaggio a piedi al santuario mariano di Crea, per ringraziare la Madonna del buon esito degli esami al termine del suo primo anno di seminario. Domenica 25 giugno 2023, nel giorno che sarebbe stato del suo cinquantesimo compleanno, proprio a Crea viene presentato un libretto su di lui, curato dal centro culturale che porta il suo nome. Ne esce il ritratto di un ragazzo appassionato alla vita, che attraeva non per una sua particolare esuberanza ma per il desiderio di amare gli altri come lui per primo si sentiva amato.

Alla presentazione del libro Alberto. A vent’anni una pienezza di vita sono intervenuti Maurizio Scagliotti, che ha seguito il progetto raccogliendo le testimonianze, monsignor Gianni Sacchi, vescovo di Casale Monferrato, Paolo Patrucco, responsabile locale di CL, movimento in cui la fede di Alberto era maturata, e Carlo Gai, il fratello che ha curato la biografia e l’apparato fotografico.

Maurizio Scagliotti ha evidenziato che il libro è soprattutto una raccolta di testimonianze che rendono evidente come, per chi lo ha conosciuto, Alberto sia ancora una presenza e non un lontano ricordo. Un libretto che vuole essere una prima edizione che lanci in futuro una raccolta più ricca di documenti. Tra i contributi pubblicati, la prefazione di don Primo Soldi e la testimonianza di don Francesco Belloli, ai quali si deve il germinare della vocazione al sacerdozio di Alberto, e l’omelia di monsignor Carlo Cavalla al funerale. Emerge il desiderio di Alberto di non tenere la vita per sé, ma di vivere per qualcosa di più grande, di «dare la vita per l’opera di un Altro» come testimonia Paolo Patrucco nel suo intervento, ricordando l’attenzione di Alberto per tutte le persone che gli venivano messe accanto, il suo testimoniare la fede senza timori nell’ambiente scolastico, il suo desiderio di prendere sul serio le proposte che gli venivano fatte, compresa quella vocazionale. Proprio sulla serietà del cammino vocazionale di Alberto si è soffermato monsignor Sacchi, proponendolo come esempio di «un giovane che si è lasciato mettere in discussione e ha ricercato nella sua vita la verità. E incontrando la verità nella persona di Cristo si è lasciato afferrare da Lui. Alberto ha cercato, ha partecipato a incontri, è entrato in relazione con tante persone e si è innamorato di Cristo. Questa è l’esperienza di ogni vocazione e Alberto potrebbe essere il modello da proporre e da seguire in tanti gruppi giovanili».

Nel suo racconto, visibilmente commosso, il fratello Carlo ha voluto sottolineare come Alberto non fosse una persona che immediatamente colpiva, ma «era uno che aveva incontrato qualcosa ed era questo che lo rendeva diverso. Si era lasciato prendere da un abbraccio, si era lasciato colpire da un Amore più grande, ed era questo che colpiva in lui. Come tutte le persone innamorate, lo comunicava: questo abbraccio in cui viveva aveva iniziato a riversarlo anche sugli altri. Era questo che te lo faceva sentire subito amico. Per lui stare coi suoi amici era la sua missione, voleva crescere con loro. Non faceva grandi discorsi, voleva che quello che stava facendo crescere lui fosse una possibilità anche per gli altri, e li invitava a seguire non lui, ma qualcuno di più grande. Perché fare ancora oggi memoria di Alberto? Perché fare memoria è desiderare che qualcosa riaccada. Alberto adesso non ha bisogno di memoria, ma io per primo ne ho bisogno, perché quella libertà che gli aveva fatto dire “sì”, lo aveva fatto aderire a un qualcosa che tutti noi possiamo incontrare e possiamo vivere. Per lui la forma del suo “sì” era stato il carisma di Comunione e Liberazione, ma tutti noi abbiamo qualcosa da seguire. Quello che chiedo è imparare la sua libertà nel dire “sì”».  

Al termine ha preso la parola anche don Marco Pivetta – che ha condiviso con Alberto l’esperienza di CL e del seminario diocesano – raccontando gli ultimi momenti in compagnia di Alberto e affermando: «La sua morte improvvisa ha squassato la mia immagine di Dio, proprio perché era la “mia” immagine. L’idea di Dio come mistero era scritta nei libri, improvvisamente ha preso forma». Condividendo poi alcuni aneddoti della vita di Alberto, don Marco ha sottolineato l’importanza di ricordarne anche gli aspetti più umani «perché la santità non coincide con la perfezione, ma con l’orientamento praticato».

Dopo l’incontro, in santuario è stata celebrata la Santa Messa, a suffragio di Alberto ma anche per chiedere a lui un’intercessione per tutti nella scoperta della propria vocazione e nella disponibilità ad amare la Chiesa e servirla.

È possibile richiedere copie del libro all’indirizzo ccalbertogai@gmail.com o al numero 338-5877616.

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